Termina la ripresa del ferro

Il minerale ferroso ha visto un aumento del 50% nel primo semestre 2016, l’incremento più elevato tra le materie prime durante il periodo, molto più dello zinco e dell’argento, che sono aumentati del 42%.

L’aumento dell’argento non è congiunturale, bensì un fenomeno d’investimento a lungo termine: l’oro ha raggiunto la sua capacità massima d’investimento nel contesto globale dei dubbi economici e pre-crollo, chi voleva salvare le proprie finanze ha ripiegato sull’argento, suo fratellino minore nei metalli preziosi.

L’argento non è più di grande interesse nel campo industriale, dopo l’avvento del digitale, che ha segnato la fine del suo sbocco nell’industria fotografica e diventa come l’oro, ma ancor più dell’oro, un bene di rifugio, dove è sconsigliato investire troppo…

Il crollo produttivo della più grande miniera al mondo, Fresnillo (Messico), sfruttata dal 1824, che ha perso il 57% della sua produzione tra il 2010 ed il 2015, non è un fattore da trascurare in questa costante ascesa.

Quotato ora a 62 USD/ton, nel 2017 il minerale di ferro dovrebbe subire teoricamente una caduta del 28%. Le informazioni più recenti raccolte a livello mondiale dei suoi derivati diretti (prodotti in acciaio) o dei settori collegati indirettamente al ferro (automotive, edilizia), lasciano supporre un adeguamento dei prezzi, i quali attualmente sono loro stessi un riadattamento conseguente al crollo dei prezzi del ferro avvenuto nel secondo semestre 2014 (30% di perdita).

L’acciaio è in massiccia sovrapproduzione, la Cina ha superato il 50% della produzione mondiale. Il mercato è talmente danneggiato, a causa del rallentamento globale della crescita (soprattutto tra i BRICS – Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), che l’acciaio europeo è stato schiacciato; l’Unione Europea ha segnato un ulteriore decremento del 4,6%. Dal 1967 al 2015 la Francia è passata dal V al XV posto nel mondo, la Gran Bretagna dal IV al XVII, l’Italia dal VI al XII, la Germania dal III al VII.

Il rallentamento dell’economia cinese, preludio di un collasso imminente, gioca sulla fluttuazione delle quotazioni (al contrario dell’India, l’economia cinese è come un palloncino).

Per completezza, ricordiamo anche che da Gennaio 2015 la Cina ha cambiato idea in merito alla sua politica d’investimento. Nel 2014, temendo un crollo del dollaro, la Cina aveva acquistato moltissimo ferro, rame, oro e argento. Il dollaro non è crollato e la Cina ha dovuto gestire stock impressionanti di ferro e rame, inoltre il fabbisogno interno è sceso a causa di un rallentamento economico locale. Il rame non si sta ancora riprendendo in termini di prezzi.

Le informazioni provenienti dall’Africa occidentale permettono di comprendere le attuali poste in gioco: la gigante miniera di Simandou in Guinea, la cui capacità produttiva di ferro è stimata al 4% della produzione globale – che la rende di fatto la più grande miniera al mondo – è stata acquistata da Rio Tinto che destinerà 20 miliardi di dollari in investimenti, ma non è ancora sfruttata a causa delle oscillazioni del ferro, il tutto in un paese meglio conosciuto per la sua bauxite, particolarmente ambita dai cinesi (14 miliardi di $ di investimenti per la miniera Boffa-Santou-Huda!).

A questo si aggiunge lo sfruttamento della gigantesca miniera di ferro australiana Roy Hill, che richiede investimenti per almeno 10 miliardi di dollari, ma la cui capacità è stimata al 2,5% della produzione mondiale (e quasi il 10% della produzione australiana).

In un mercato che è stato considerato “in sovrapproduzione” nel 2015, i due magnati mondiali del ferro, Vale (Brasile) e Rio Tinto (ramo inglese della Rothschild) continuano tuttavia la corsa alla produzione; “politica suicida” avrebbe detto a suo tempo l’economista Philippe Chalmain, obiezione ignorata dal boss di Rio Tinto, Andrew Harding.

Ultima informazione che ha la sua importanza: la Goldman Sachs ha “pronosticato” il minerale di ferro stabile intorno ai 55 $ la tonnellata contro i 100 $ nel 2013…

fonte: Hristo Xiep

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